La battaglia di Aliah tra sopravvivenza, matrimoni tra consanguinei e figli malati
La storia di Aliah è solo una delle tante che potrebbero essere raccontate, perché come lei sono numerose le donne che in tutto il mondo sono vittime delle loro stesse famiglie e delle convenzioni sociali radicate.
Oggi Aliah ha 57 anni, ma nella vita ne ha passate tante. Di Dura, una cittadina del sud della Cisgiordania, all’età di 22 anni ha sposato suo cugino.
I primi due figli sono nati sani, mentre ha perso gli altri pochi mesi dopo la nascita, senza che i medici capissero il motivo. Anche i successivi tre figli sono nati malati.
Disperata, si è rivolta al Caritas Baby Hospital, non senza prima aver dovuto affrontare un impervio cammino insieme ai figli. «La situazione politica di quei tempi mi ha costretto a percorrere molti chilometri a piedi, da una collina all’altra per trovare un autobus diretto a Betlemme» ricorda Aliah.
La diagnosi fu «acidemia metilmalonica», un difetto genetico del metabolismo incurabile, che se non trattato può rivelarsi letale. Colpisce anche i reni, occhi e cervello, e a causa dei problemi legati alla vista i bambini di Aliah non hanno potuto frequentare la scuola.
Ma soprattutto la malattia è causata dal matrimonio tra consanguinei. Venuto a conoscenza del fatto, il marito, nonché cugino di primo grado, ha abbandonato la moglie e i bambini, non accettando il responso. Di lì a poco si è risposato con un’altra donna, e si è sempre rifiutato di pagare gli alimenti. «La malattia, l’avrei ancora potuta sopportare, ma la cosa peggiore era che tutti si erano messi contro di me: il mio ex marito, la sua famiglia e la mia famiglia. Per tutti ero io l’unica responsabile della situazione, mentre siamo entrambi portatori di questo gene».
Aliah si è trovata così totalmente abbandonata a se stessa, ma ha trovato un rifugio sicuro proprio presso la struttura Caritas Baby Hospital di Betlemme, dove ancora oggi vengono seguiti i due figli (il terzo è morto alcuni anni fa), nonostante siano ormai maggiorenni.
Grazie all’incoraggiamento delle operatrici sociali, Aliah ha potuto attivarsi contro le convenzioni sociali fortemente radicate, prendendo così in mano la propria vita. Contro la volontà dell’ex marito è riuscita a fare in modo che i due figli sani si sposassero al di fuori della famiglia. E ha anche cominciato a coltivare il proprio orto, piantando menta, spinaci e cetrioli, allestendo anche una serra su un fazzoletto di terra di sua proprietà. Oggi riesce a sostenersi con quello che produce, guadagnando 300 franchi al mese.
Curare i due figli ammalati è la missione della sua vita. Ma non solo: Aliah nel tempo che le rimane si impegna a sensibilizzare il vicinato, e anche presso il Caritas Baby Hospital, segnalando i possibili rischi derivanti dai matrimoni tra consanguinei. «Vorrei che nessuno passasse quello che ho vissuto io».